Sei anni fa il naufragio di 368 migranti, Brhane: 'Europa fondamentale'
Il commento del presidente del Comitato Tre ottobre nell'anniversario della più grande tragedia del Mediterraneo
3 ottobre 2013. 368 persone. Sono numeri di una tragedia impressa nelle nostre coscienze, la più grande della storia delle migrazioni del Mediterraneo. Ce l’avevano quasi fatta quei disperati, salpati su un peschereccio da Misurata e arrivati a mezzo miglio dalle coste di Lampedusa. Così vicini da pensare di riuscire a segnalare la propria posizione a terra con un po’ di fumo: qualcuno dà fuoco a una coperta, ma le fiamme conquistano subito il ponte. L’incendio, la paura, il rovesciamento della barca, il ritardo dei soccorsi. Quel 3 ottobre di sei anni fa, annegano 368 persone. 155 riescono a salvarsi.
“Sono sopravvissuti ma sono morti dentro”, racconta Tareke Brhane, anche lui fuggito dal suo Paese, l’Eritrea, e approdato sulle coste sicule nel 2005. Tareke oggi lavora come mediatore culturale e presiede il “Comitato Tre Ottobre ”, nato con lo scopo di sensibilizzare e informare sul tema dell’immigrazione.
“Ancora oggi non riesco a fare nulla per alcuni ragazzi dei 155 sopravvissuti. Non riescono ad avere una vita normale, anche se sono arrivati in Europa. Sono fermi a quel 3 ottobre, traumatizzati. Hanno visto i corpi dei loro compagni colare a picco”.
Per il presidente dell’organizzazione da quella data si è fatto troppo poco. Mare Nostrum, Triton, Sofia. Tante operazioni di soccorso si sono succedute e arenate nel Mediterraneo. “Nulla cambia, semmai si complica. Diventa sempre più difficile gestire il fenomeno migratiorio. Continuiamo a chiamarla ‘emergenza’ per giustificare la non volontà e l’incapacità di intervenire”, accusa il presidente del comitato. La maggiore responsabile dello stallo “è l’Europa, che continua a non agire seguendo una linea comune, anzi sembra che ogni Paese faccia a gara a fare il forte con i più deboli”.
Troppe vite ancora muoiono nella traversata del Mediterraneo. Mille solo quest’anno secondo l’Unhcr. E, stando ai dati del Viminale, la maggior parte dei migranti, otto su dieci, arriva su gommoni o piccoli barchini per eludere i controlli. Mezzi di fortuna che rendono ancora più rischioso il viaggio: “Queste persone non le fermi neanche con il carrarmato. Sono disperate, questo è quello che la comunità internazionale deve capire”. Per Tareke Brhane l’unica soluzione è un impegno unitario dei paesi europei: “Solo attraverso corridoi umanitari e l’intervento economico nei Paesi d’origine dei migranti si può davvero far fronte al fenomeno”.
di Selene Rinaldi
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